La Storia del Brunello. Una cantina monumento a questo territorio, alla quale questo territorio deve moltissimo. Una incarnazione dello spirito d’impresa di una famiglia che ha saputo dettare i tempi a una Denominazione che oggi può fare affidamento su una riconoscibilità internazionale.

Biondi Santi è tutto questo e molto altro ancora, potendo contare su una storia di oltre 150 anni e sull’avvicendarsi di personaggi notevoli al suo timone. Le origini della Tenuta sono oscure, non essendoci documenti certi fino a un certo momento, quando Clemente Santi si diede da fare per iniziare a vinificare Sangiovese in purezza. Ci sono alcune considerazioni da fare: all’epoca nessuna proprietà poteva dedicarsi al vino completamente, dovendo fare i conti con la sussistenza dei contadini e operai della medesima proprietà, e il vino dell’epoca era un alimento come tanti altri, senza distinzioni qualitative o scelte ampelografiche precise. La tradizione del vinificare insieme uve bianche e uve rosse è rimasta fino agli anni ‘70 del secolo scorso, con esempi eclatanti come il Tignanello. La scelta di vinificare soltanto Sangiovese in purezza si potrebbe giustificare con l’eccidio di vigne compiuto dalla fillossera durante la seconda metà dell’Ottocento, essendo il Sangiovese Grosso più resistente all’afide killer. Dopo tanti tentativi, finalmente la prima annata di Brunello di Montalcino nasce con la vendemmia 1888, di cui due bottiglie resistono nelle segrete della Cantina. Ovviamente il vino non aveva ancora la riconoscibilità odierna né la denominazione, ma è un significativo primo passo verso ciò che accadrà nei decenni successivi. 

La famiglia prende confidenza con il mezzo e alterna scelte di innovazione al costante perfezionamento del metodo solido con cui il Brunello di Biondi Santi è sempre stato fatto. Passando per Ferruccio, Tancredi, Franco, le innovazioni sono molteplici: la colmatura, la stessa dicitura Brunello, la creazione di ciò che diventerà il Consorzio, la ferma volontà nel far riconoscere anche legalmente la zona e il vino, arrivando poi alla selezione del BBS11 (11 sta per l’undicesimo filare), il clone scelto tra quaranta campioni per portare avanti la storia di questo vino, di questo territorio, di questa cantina. Oggi Biondi Santi parla un’altra lingua, con la famiglia descours e il gruppo EPI a portare avanti le opere e i giorni della cantina. QUesto cambiamento al vertice è anche la causa dei grandi investimenti che la Cantina sta facendo per perfezionare ulteriormente il vino. Da una parte la Cantina verrà ristrutturata e ampliata, lasciando intatto il cuore della vinificazione e soprattutto la biblioteca dove riposano (sotto chiave e codici di accesso) le ultime bottiglie delle annate leggendarie.

un grande investimento è stato fatto negli ultimi anni con la mappatura approfondita e globale dei suoli e delle piante presenti, con un vigneto sperimentale che sorge alle spalle della cantina e dal quale verranno sfruttate le piante considerate migliori per essere propagate negli ettari vitati che l’azienda possiede. Il vino di Biondi Santi è un continuo divenire e, se dall’esterno la Cantina dà la solida immagine di tradizione pura, i fatti sono un po’ diversi: la ricerca sta iniziando ora a dare i frutti, concedendo spazio ai tecnici per misurare i risultati. Se ad esempio i tre vini (Rosso, Brunello e Riserva) venivano prodotti in base alle età delle piante, oggi si seleziona “chi fa cosa” solo dopo la vinificazione e il legno, per lasciar esprimere al meglio il frutto. Quello che ho potuto verificare è soprattutto la longevità di vini che, all’assaggio delle annate attuali, danno l’impressione di aver bisogno ancora di tati anni – qualche decennio – per spogliarsi dell’austerità primigenia per giungere in altri luoghi, ugualmente maestosi ma anche maggiormente espressivi. 

La Cantina sorge sotto e a fianco della Villa (ancora abitata a tratti dagli ultimi membri della famiglia Biondi Santi) e si snoda tra ambienti di antico respiro, con la vinificazione che si è triplicata tra legno, acciaio e cemento prima del lungo e doveroso passaggio in legno. Il gruppo EPI ha dato maggior risalto al Rosso che oggi viene strutturato a partire dalla vendemmia: non è un vino di ricaduta bensì il frutto di scelte ad hoc, dando spazio a questo vino come membro della famiglia, a pari dignità con gli altri vini. Dall’assaggio dell’annata attuale (e di altre precedenti) la sensazione è di avere un vino comunque meno immediato rispetto ad altri Rosso di Montalcino, con la freschezza a fare da padrona all’interno dell’ecosistema gustativo di questo vino. 

Spazio ora all’assaggio con le annate attuali: Biondi Santi si presenta con il Rosso di Montalcino annata 2021 e il Brunello di Montalcino 2018: su entrambi i vini le impressioni sono di freschezza ma soprattutto austerità, longevità, corpo affilato e un naso giovanile, primario, affusolato e mai ricco. Per ora, dico io: in attesa che i decenni di affinamento a cui questi vini sono destinati facciano il loro lavoro. Biondi Santi è un’icona del vino mondiale, di sicuro tra le dieci cantine italiane che hanno fatto la storia. Non ho dubbi che la mia presenza qui oggi sia un risultato personale evidente, così come non ho dubbio alcuno sulla grandezza della cantina, sulla maestosità della storia aziendale e sull’importanza di Biondi Santi per l’Italia del vino, al netto delle opinioni personali. Non mi resta che ringraziare la cantina e Alessandra per l’ospitalità, ringraziando il mitico Paolo Baracchino per aver agevolato l’incontro.

BIONDI SANTI ROSSO DI MONTALCINO 2021

Frutta rossa, di mora e ciliegia, poi agrumi, con la speziatura di pepe nero e chiodi di garofano a dare volume. Eleganza agrumata di arancia sanguinella e rosa. Palato fresco, di succosità agrumata, tannino evidente, dando spazio ancora agli agrumi. Finale pulito, acidità prolungata, agrume e chiusura lievemente speziata.

Di corpo e freschezza, naso profondo. Chiusura da gran Sangiovese, di mora e viola.

IBT 91

BIONDI SANTI BRUNELLO DI MONTALCINO 2018

Cenni di miele aprono su note scure di frutta rossa, mora e ciliegia, amarena, per un naso profondo e per ora trattenuto. Violetta, terra e un cenno di cuoio. Terra scura e melograno. In bocca è ampio, fresco, acidità che si sdraia sulla lingua con cenni agrumati di litchi, pompelmo, arancia. Bellissima struttura. Chiusura ampia e fresca, mai opulenta, elegante e a tratti rinfrescante.

Vino di struttura piena ed elegante, giocando sulla freschezza in ogni momento. Di certo il naso si amplierà con il tempo. Palato e finale davvero asciutti.

IBT 94