MIRÙ – GHEMME – IN CANTINA
Torno in Alto Piemonte con una Cantina già nota ma che non ho mai approfondito, complice anche un ottimo assaggio di Riserva durante Taste Alto Piemonte nel Maggio 2022. Mirù è una piccola cantina di Ghemme che si sta strutturando sempre meglio grazie anche all’interesse in crescita verso queste zone e questi vini. Marco Arlunno è l’ultima generazione e si occupa della gestione globale: Mirù lavora su circa dieci ettari di vigne per una resa piuttosto bassa di 40.000 bottiglie annue.
Ci troviamo nel piccolo centro di Ghemme e la cantina si sviluppa in piccoli ambienti intorno al cortile principale, una soluzione derivante dall’origine contadina dell’attività che vedeva le vigne essere soltanto una parte della produzione agricola, in un mondo in cui ogni famiglia – e dunque ogni attività familiare – doveva badare a se stessa, cercando di essere autosufficiente e quando possibile di vendere qualcosa all’esterno.
La vinificazione è in acciaio e tutti i vini passano di qui, partendo dal bianco di Erbaluce e dal rosato di Nebbiolo e passando per un trio piuttosto interessante di Uva Rara, Vespolina e Nebbiolo, ciascuno in purezza per andare a identificare le singole varietà e apprezzarne l’evoluzione da solista. La scelta di Marco è proprio quella di ribadire le peculiarità di questi vitigni, specialmente i primi due mai nobilitati se non come taglio per il Nebbiolo. Non posso non nascondere la bella sorpresa che mi ha riservato l’Uva Rara, dal bouquet olfattivo tanto ammaliante quanto diritto nel suo percorso varietale.
Se la vinificazione è in acciaio, per i Rossi di casa la permanenza in legno è quasi obbligatoria, e qui mi confronto con Marco sui legni, croce e delizia di ogni attività enoica: le botti grandi sono preferite ai contenitori piccoli, così come il castagno tradizionale è stato sostituito dal rovere di Slavonia per garantire la corretta micro-ossigenazione al Nebbiolo. Il legno deve garantire uno scambio purché minimo e non invasivo, lasciando poi alla bottiglia il compito di conferire maturità al vino.
Passando poi alle etichette più importanti, il Ghemme è declinato in ben quattro versioni: l’assemblaggio d’annata è frutto di tre vigne differenti e viene prodotto ogni anno (a meno di disastri metereologici) potendo selezionare con cura, mentre due versioni da singola vigna si dividono il compito di dare rappresentazioni differenti della zona. Vigna Carelle è una nuova etichetta con cloni langaroli e un impianto discretamente più fitto rispetto alla Vigna Cavenago, prodotta in rare annate e di cui ho avuto modo di provare una versione 1997 gloriosa. La Riserva arriva dalla Vigna Cavenago e rappresenta il punto di arrivo della Cantina.
Un altro elemento da non sottovalutare è l’approfondimento sulla geologia della zona e Marco mi dettagli le vicissitudini all’origine di queste zone, generate da un ghiacciaio che ritirandosi ha lasciato in eredità colline di sedimenti e il fiume Sesia a pochi passi. Un terreno che – ad esempio – si distanza di parecchio dalla vicina Gattinara e i suoi suoli vulcanici.
Le quattro etichette di Ghemme ribadiscono quanto queste zone siano in grado di esprimere grandi Nebbiolo, vini di sicuro destinati a decenni di gloria eppure così avvolgenti già da giovani. Non lo faccio mai ma il prezzo di questi vini è francamente irrisorio e sarebbe davvero imprudente perderli.
Concludo prima di tutto ringraziando Marco per il suo tempo e la sua dedizione verso questo territorio, con la speranza certa che il cosiddetto Alto Piemonte e le sue denominazioni avranno modo di dimostrare al mondo quanto è buono il vino di qui.
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