Seconda degustazione dai Marchesi di Gresy, Cantina di Barbaresco che ha compiuto da poco cinquant’anni di lavoro grazie alla visione di Alberto di Gresy, all’epoca un ragazzino e oggi al timone di una nave solida e rodata in compagnia dei figli e di collaboratori fidati, tra cui Valentina, qui da cinque anni. Torno dai Marchesi di Gresy sulla scorta delle impressioni positive di ormai due anni fa: la Martinenga è il cuore dell’azienda, un cru di Barbaresco in monopolio sotto Rabajà e Asili, incorniciandola come una tappa obbligatoria per capire il Barbaresco. Oltre a questo, la mano salda di Alberto e famiglia ha gestito con attenzione le tante vigne di proprietà, non solo qui ma in altre zone, dando vita a vini impostati sull’eleganza e sul rispetto di origine, vitigno e terroir.

Alberto è stato anche uno dei primi a credere nei vini bianchi delle Langhe, partendo soprattutto dal Sauvignon e passando per lo Chardonnay: una vocazione internazionale che l’azienda condivide da sempre e che ha altri vignaioli estimatori a poca distanza. La Cantina ha due scuole di pensiero: da una parte i vini della tradizione, dall’altra alcune uscite con un occhio differente, con affinamenti importanti in legno piccolo e un’evoluzione da maratoneti. Mi riferisco a Chardonnay e Barbera d’Asti, due assaggi ancora giovani e di sicuro valore in prospettiva.

La linea dei vini tradizionali parte dai bianchi: Sauvignon ma anche Villa Giulia restituiscono l’aderenza a un terroir più che a uno stile di vino che non appartiene alle Langhe ma al Nord Est d’Italia. Lo scheletro del Bacino (il grande mare che è scomparso lasciando come eredità le colline delle Langhe) si avverte, e questo è fonte di struttura nel vino, specialmente al palato. Passando ai rossi, Dolcetto e Nebbiolo confermano la corretta scelta dell’acciaio per vini che a 14 gradi di temperatura di servizio possono dare manforte all’aperitivo, al pranzo e alla merenda.

MARCHESI DI GRESY - DEGUSTAZIONE 5 NOVEMBRE 2021

Discorso diverso per il Barbaresco: tra le cinque espressioni provate la più aggraziata è la versione 2014 di Gaiun – proveniente dalla parte sinistra della Martinenga (la parte che si può vedere nella foto in alto a destra). Esposizione a sud, terreno diverso e permanenza in barrique conferiscono diversa profondità al vino, maggiore concentrazione. Eleganza e potenza si spartiscono le lodi, anche se l’annata 2014 con tutta la sensibilità di un’annata fresca e più piovosa di altre collabora alla balsamicità di un grande naso.

Barbaresco Martinenga 2017 e 2018 sono figli di due annate opposte, la prima siccitosa e la seconda più fresca, con la 2018 che deve ancora trovare il proprio posto nel mondo: meglio dal 2024. Per la 2017 invece ribadisco il mio affetto per questa annata, affilata, austera e potente senza raggiungere l’opulenza della 2015, mantenendo una serietà di carattere, dall’indole profonda e quieta.

Barbaresco Gaiun e Barbaresco Camp Gros 2016 (quest’ultimo dalla parte destra della Martinenga e maggiore affinamento in legno grande per uscire come Riserva) non possono fare altro che ribadire la grandezza dell’annata: palato ricco ma non grasso, naso elegante ed eloquente, la finezza e l’eleganza che evitano l’effetto “succo di frutta alcolico” elevando l’uva a figlia diretta del sole e del terroir. Due grandi bottiglie che auguro a tutti di possedere ed assaggiare.

Concludo: torno a casa con qualche assaggio in più ma soprattutto con la certezza della capacità dei Gresy di dare vita a grandi vini, bianchi o rossi che siano, riuscendo a governare bene le annate senza prevaricare sulla natura. Assaggi dal filo conduttore dell’eleganza e della finezza, specie al palato, senza stanchezze o esasperazioni: un grande tesoro da scoprire. Ringraziamento speciale per la famiglia di Gresy e per Valentina per avermi accompagnato ancora una volta in questo viaggio.

Vini Degustati:

MARCHESI DI GRESY - DEGUSTAZIONE 5 NOVEMBRE 2021