Sono passati diversi mesi dal mio ultimo viaggio in Trentino, un periodo segnato dalla presenza del Covid che ha vietato, o comunque limitato, gran parte degli spostamenti tra Regioni. Ne approfitto con le ferie estive per raggiungere alcune mete fondamentali per il vino, partendo proprio da Tenuta San Leonardo, una delle Cantine più apprezzate del Nord Italia grazie a una serie di vini sempre ai massimi livelli. Per chi non conoscesse la Cantina vi rimando al mio precedente report di Agosto 2020, il primo approccio con i vini dell’azienda ma soprattutto con l’atmosfera di un posto fuori dal mondo. San Leonardo si trova a pochi chilometri dal confine con il Veneto, ma il pronunciarsi delle montagne rendono questa zona distante anni luce dalle assolate distese di viti venete.

Varcando i cancelli di Tenuta San Leonardo è impossibile rimanere inerti di fronte alle unicità: da una parte la chiesetta risalente al 1100 (o prima), dall’altra il lungo viale che fa un po’ il paio con i tanti viali alberati della Toscana, per arrivare poi al cortile intorno al quale si sviluppano gli edifici della Cantina. Trattasi di aia e di parti di una Cascina che sopravvive da secoli, tra le cui mura non solo vivono i vini ma anche le persone che se ne prendono cura. Conosco finalmente Luigino, capo cantiniere da sempre, la cui famiglia è a San Leonardo da generazioni (tutto documentato). Luigino è il braccio destro della famiglia Guerrieri Gonzaga, tanto che nell’arco della visita lo vedo impegnato in almeno tre operazioni del tutto differenti tra loro.

Mi incontro con Valentina, il mio contatto a San Leonardo, che mi lascia in compagnia di Mattia, nuovo acquisto del Marketing e delle Visite da pochi mesi, segno che la parte di ospitalità sta tornando ad essere importante e, anzi, a rivestire un ruolo fondamentale nell’economia spirituale di San Leonardo: la durata delle visite ha reso necessario l’innesto di nuove forze. Con Mattia, a cavallo di una Jeep storica, vado a vedere le vigne che sorgono intorno alla cantina per un totale di circa 30 ettari immersi in un parco naturale (e montuoso) di circa 300, un patrimonio che va preservato come barriera naturale e polmone. Le vigne di Cabernet Franc, Merlot e Carmenére sono a guyot, cordone speronato e pergola trentina, con innesti dai settant’anni d’età in avanti.

La barricaia sotterranea, a cui si accede con una porta scorrevole dalla piccola sala delle annate storiche, ha un profumo unico, che non ho mai sentito altrove: credo che la commistione tra le spezie del legno e la lunga maturazione (almeno due anni) diano un risultato altro da tutto il resto. Le lunghe file di legni rappresentano non solo un patrimonio, ma anche una precisa scelta di attesa, un affidarsi al tempo per ottenerne indubbi benefici. Dal 1982 non penso che sia cambiato molto, a livello di affinamento.

San Leonardo non è soltanto vino: qui si produce anche Miele in due versioni, olive da olio, oltre a una collezione di fiori e piante di proprietà del Marchese Carlo e di sussistenza per chi qui ci abita.Villa Gresti, residenza della famiglia, rappresenta un ulteriore monumento storico italiano. Da menzionare il museo interno dedicato alla vita durante i secoli precedenti, con l’atto di acquisto del 1770 e le testimonianze di Gemma de Gresti, responsabile del rimpatrio di circa 12.000 soldati della Prima Guerra Mondiale a cui è dedicato il vino Villa Gresti, della medesima tiratura annua.

Passo all’assaggio e, per non incappare in doppioni, Valentina mi propone un viaggio tra alcune annate attuali e una piccola verticale storica: il Riesling 2018 rappresenta un grande vino bianco italiano, dalla stoffa unica e dalle potenzialità notevoli. San Leonardo 2016 è semplicemente il miglior San Leonardo della storia: l’eleganza della fitta trama palatale è unica e fa sfigurare gli eccellenti compagni di degustazione, con tutto il bene che posso volere a bottiglie comunque ottime. Ripeto: grandissimo vino, forse il migliore mai prodotto qui. Le annate 2008, 2005 e 2003 rappresentano un viaggio nel recente passato: la 2008 vive ancora di grande grinta e vitalità, la più fredda 2005 ha un’evoluzione già marcata pur mantenendo un nerbo palatale intenso, mentre la 2003 è la vera sorpresa, un vino giovane e vivace, con la pirazina che colora il bouquet e si mantiene in una persistenza gioiosa. Concludo con il Carmenére 2016, bottiglia che ho già avuto modo di amare e che di certo avrà tanto da dire per i prossimi cinquant’anni.

Ringraziando l’ospitalità della cantina, non posso che consigliare la visita anche solo per astrarsi qualche ora dal mondo esterno e compiere un viaggio simbolico tra la terra e il frutto del lavoro dell’uomo. Io di certo non perderò occasioni in futuro per godermi San Leonardo.

Un ringraziamento di cuore a Valentina, Mattia e Anselmo Guerrieri Gonzaga.